Le linee rosse

di Federico Rampini




Bel libro, riflessioni interessanti.
Mi disturba un'incongruenza tra il titolo, "Le linee rosse", e le mappe che hanno prevalentemente aree colorate e non linee. Le linee sono poche: la nuova via della seta, le rotte dei migranti, ... Sono, a dire il vero linee anche i confini per esempio quelli della Germania e dell'India, linee che cambiano nel tempo. Ma per lo più si tratta di mappe colorate: i paesi che importano vino italiano, in cui vige la censura di internet, o le aree in cui la Brexit ha avuto la maggioranza. Bella comunque l'idea delle mappe, "le carte geografiche che raccontano il mondo in cui viviamo".

Apprezzo il modo in cui Rampini racconta, perché è sempre critico, teso a capire, aperto anche alle "ragioni degli altri". Cerca di leggere la realtà, non di difendere posizioni predefinite. Cerca di leggerla a partire dalla propria storia e dai propri valori di uomo di sinistra, ma cercando di capire le ragioni per cui, per esempio, gli operai americani hanno votato Trump. E pronto a indicare errori commessi in libri precedenti.
Il libro spazia dall'America di Trump alla germania, dalla Cina i cui leader citano Tucidide al vaticano. Dalla tecnologia al clima, dalla globalizzazione al prosecco. Anzi, il prosecco per parlare della globalizzazione.

"La causa strutturale del fenomeno Trump è un capitalismo feroce, oligarchico, che ha dirottato e manipolato la globalizzazione per metterla al servizio di pochi". L'alternativa è "una società civile che deve rimboccassi le maniche, capire dove abbiamo sbagliato, imparare a parlare con i delusi e gli impoveriti, gli umiliati e i declassati che hanno cercato nel populismo una vendetta e una speranza". Per lui questa società civile c'è "sulle due coste, nella mia California e nella mia New York". Spero ci sia, dobbiamo farla esistere, anche qui.

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