La luna, cinquant'anni fa

20 luglio 1969. Avevo 21 anni, frequentavo ingegneria ... ma la frequentavo ormai per il movimento, non per le lezioni, è stato l'anno della lunga occupazione della facoltà.
Forse se non ci fosse stato il sessantotto e se non fosse stata in corso la guerra del Vietnam mi sarei appassionato per le conquiste spaziali. Forse. In ogni caso lo sbarco sulla luna non potevo perderlo anche se in Italia era notte ... e se noi nella casa al mare non avevamo allora la TV.
Così ricordo di essere andato a vedere l'impresa in un bar che era rimasto aperto per l'occasione.



Ero interessato a quanto avveniva sulla terra, ma in qualche modo condividevo una visione dell'avventura spaziale come espansione dell'umanità verso nuove terre. In qualche centinaio d'anni i nostri orizzonti (gli orizzonti di noi europei) si erano espansi: avevamo raggiunto nuove terre, scoperto altri popoli, e adesso che il globo terrestre era tutto noto pensavamo agli altri pianeti, alle stelle.
In "Se il sole muore", nel 1965 - quattro anni prima del "piccolo passo per un uomo ..." - Oriana Fallaci aveva indagato sull'impresa che voleva portare un uomo sulla Luna e sugli uomini che lavoravano a quell'impresa. Leggo che Donald Slayton, uno degli astronauti, le diceva "ci andrà, ci andrà, deve credermi. Ce la porterò io quando i voli alla Luna saranno normale routine e gli astronauti diventeranno come gli autisti dei tassì ...".
Il passo di Amstrong era "un grande balzo per l'umanità" perché davvero in molti pensavano che la colonizzazione della Luna e di Marte fossero dietro l'angolo. A Oriana che gli rispondeva "Non faremo in tempo, maggiore. Saremo troppo vecchi" Slayton rispondeva: "Nemmeno per sogno. ... Se a sessant'anni uno ha buona salute può navigare come a quaranta" ... e quindi, visto che era sulla quarantina, pensava che prima del 1990 i viaggi sulla luna sarebbero stati ordinaria amministrazione.

Forse non con quella velocità, ma in altri libri scritti negli anni 60 ho ritrovato questa prospettiva espansiva. Forse uno degli elementi dell'attuale malessere dei popoli europei sta qui: non abbiamo prospettive concrete di poterci espandere verso nuovi spazi.

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